Ernesto Che Guevara l’icona ribelle

L’Importanza di chiamarsi Ernesto Che Guevara: l’icona Pop Ribelle

Ernesto Che Guevara l’icona ribelle

Tutti sanno chi era il “Che”. Un mito e al tempo stesso un’autentica icona pop, una vita leggendaria, da fare invidia ai “comuni mortali” a cui non basterebbe un’intera esistenza per eguagliare la sua seppur breve vita terrena, che da sempre incanta le masse. Un intellettuale, un medico affetto da asma, uno scrittore, un combattente, un figlio di papà della ricca borghesia argentina, un moderno Robin Hood, che abbandona l’agiatezza, per aiutare poveri e oppressi, con la sola forza delle sue idee rivoluzionarie. Un Don Chisciotte, bello come il sole, alle prese con i suoi mulini al vento, chiave di volta della celeberrima rivoluzione cubana che portò all’insediamento di Fidel Castro. La morte lo ha reso un martire e un’icona riconosciuta in tutto il mondo. Ma cosa sarebbe successo se il combattente Guevara non fosse stato ucciso in Bolivia il 9 ottobre 1967? Sarebbe comunque diventato il simbolo della libertà rivoluzionaria?  Quel che è certo, e che la sua vita ha ispirato film, documentari, commedie, canzoni oltreché innumerevoli generazioni, che nel tempo lo hanno reso un’icona pop commerciale, “Massificata”, “Seriale” ormai non molto dissimile dalle lattine Campbell di Warhol. Un mito “buono per tutte le stagioni”, un logo da sfoggiare su T-shirt a buon mercato, un must che non può mancare nel vestiario di fighetti anticonformisti, radical chic, “aristo-zecche”, “catto-comunista”, “comunisti”alla Mario Brega, e infine i “Merchandisizzati”, ovvero quelli che la indossano con la stessa nonchalance con cui sfoggiano T-shirt di concerti leggendari, dove in realtà non sono mai stati, per evidenti motivi, uno fra tutti l’acne. Chiamatelo karma, fato, contrappasso, sembra che il destino abbia chiesto un conto salato per quella vita spericolata, rendendolo parte di quell’ingranaggio capitalistico che tanto disprezzava, simbolo perfetto di un merchandising ancora florido, il suo volto negli anni è comparso un po’ ovunque: poster, cappelli, portachiavi, tappetini per il mouse, felpe, cuffie, bandiere, berretti, zaini, bandane, orologi, Zippo, tatuaggi, e slippini per focosi rivoluzionari, estimatori del motto “hasta la victoria siempre”. Un po’ riduttivo, per la figura controversa del Comandante “Che”, disposto a morire per un concetto, trasportato dalla sola forza del pensiero, per lui unica forma di libertà. Un anticonformista fagocitato dal conformismo, un mito traboccante di virilità. Ma quanto resta della vera storia di Guevara fra le pieghe di questa immagine? L’immagine di Guevara è ormai da tempo cristallizzata e codificata, nell’eroe, con il baschetto nero, la stella, la barba rada e lo sguardo fiero che scruta l’orizzonte. L’ideatore di questa immagine, impressa nella memoria collettiva, fu Alberto Diaz Gutiérrez, conosciuto con lo pseudonimo di Alberto Korda, un fotografo cubano, passato alla storia per aver creato una delle immagini più diffuse di Ernesto Che Guevara, dal quale pare non trasse nessun guadagno. Lo scatto, come spesso accade, è legata a un bizzarro aneddoto, la leggenda narra che l’espressione così fiera del Che immortalato in quella foto dal titolo «Guerrillero heroico» sia in realtà frutto di una crisi respiratoria. Chissà. Ciò che è certo, che lo scatto fu realizzato il 5 marzo del 1960 durante il funerale di Stato, per le ottantuno vittime dell’esplosione della nave La Coubre, avvenuta nel porto della capitale. Quel giorno, tra la folla colma di dolore c’era appunto Alberto Korda, che puntando, l’obiettivo della sua «Leica» sul palco delle autorità scovò il viso di Ernesto Che. Rimase sorpreso dal suo sguardo e schiacciò l’otturatore. Il ritratto fu pubblicato per la prima volta sul quotidiano cubano «Revolución» con l’intento di promuovere una conferenza che si sarebbe dovuta tenere nel giorno del fallito sbarco alla Baia dei porci, nel 1961. Il successo dell’immagine, si deve alla lungimiranza dell’editore milanese Giangiacomo Feltrinelli, che fiutò l’affare, facendosi regalare alcuni scatti da Korda. Soltanto, quattro mesi dopo il Che fu assassinato, e l’editore pubblicò la foto, sia come poster, che come copertina per il libro Diario in Bolivia nel 1968. L’immagine ebbe un successo incredibile, circa un milione di copie del poster furono vendute e riprodotte sui manifesti di tutta Europa. Negli anni, l’immagine ha ispirato molti artisti, dalla celebre copertina dell’album «American Life» di Madonna, all’«American Five Dollar Bill» di Pedro Myer, in cui il viso di Abraham Lincoln è sostituito da quello del Che, al solitario e anticonformista Bansky che al rivoluzionario ha dedicato uno dei suoi ironici e graffianti stencil, persino un reverendo inglese, per riportare i fedeli a messa, ha affisso per le strade del Sussex un manifesto con la celebre immagine di Ernesto Che Guevara sovrapposta a quella di Cristo, seguito da un efficace slogan: «Scoprì il vero Gesù». Con serafico distacco, Alberto Korda, per il resto della vita ha assistito alle continue manipolazioni della sua opera senza mai richiederne i diritti, sostenendo che le grandi idee, come le grandi immagini, appartengono a tutti, e senza dubbio il mito e l’avventurosa esistenza di Ernesto “Che” Guevara appartengono a questa categoria. È questa immagine, più di qualsiasi altra, non è più una foto né un ritratto, ma bensì un simbolo, l’immagine di un’idea, che non invecchia, non muore e men che meno perde il suo fascino.Ernesto Che Guevara l’icona ribelle, Ernesto Che Guevara l’icona ribelle,Ernesto Che Guevara l’icona ribelle,Ernesto Che Guevara l’icona ribelleEL’importanza di chiamarsi Ernesto Che Guevara l’icona pop ribellernesto Che Guevara l’icona ribelle, Ernesto Che Guevara l’icona ribelle,Ernesto Che Guevara l’icona ribelle,Ernesto Che Guevara l’icona ribelle

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