«Liceat modo vivere; fient, fient ista palam, cupient et in acta referri»

«Vivi ancora per qualche tempo e poi vedrai, vedrai se queste cose non si faranno alla luce del sole e magari non si pretenderà che vengano anche registrate.»

(Giovenale, Satira II, vv 135-136.)

Arte e omosessualità l’arte greca senza tabù

La caduta di un tabù: Arte e Omosessualità nell’Antica Grecia

arte e omosessualità l’arte greca senza tabù

La citazione di Giovenale oltre ad essere straordinariamente profetica sembra anticipare gli scottanti e recenti dibattiti sulle unioni civili, su cosa sia naturale o meno, su cosa o chi possa formare una famiglia e quali siano le regole per crearla. Credo che l’arte possa essere un utile strumento d’analisi per valutare i nostri tempi e allora perché non gettare un occhio al passato. Nello specifico come si ponevano i nostri antenati su questi temi? Qual’ era il loro punto di vista? Quali erano gli atteggiamenti sociali nei confronti dell’omosessualità nell’Antica GreciaEsiste un sottile fil-rouge, che attraverso cortocircuiti storici giunge sino a noi, facendo emergere una sostanziale diversità di comportamenti tra la contemporanea civiltà occidentale e le civiltà greco romane. Bisogna precisare che per le antiche civiltà del mondo classico (antica Grecia e antica Roma) non esisteva una differenziazione individuale basata sull’identità di genere, la stessa lingua latina manca di parole traducibili per l’appunto con eterosessuale o omosessuale. Gli uomini erano liberi d’intrattenere rapporti sessuali con altri maschi senza alcuna percezione di perdita di virilità o di status sociale, a condizione che avessero assunto la posizione di comando.Durante l’antichità classica, scrittori come ErodotoSenofontePlatoneAteneo di Naucrati e molti altri hanno esplorato gli aspetti riguardanti l’amore tra persone dello stesso sesso. Da ciò è emerso che la forma più comune di relazione tra persone del medesimo sesso in terra ellenica è stata la pederastia, una relazione altamente ritualizzata e socialmente accettata tra due maschi generalmente un maschio più anziano ed un giovane. L’uomo più anziano si definiva erastes ed era colui che era in grado di educare, proteggere, amare e fornire un modello di virtù per i suoi eromenos, i cui maggiori valori erano la bellezza e la gioventù. Nel compiere questo rito di passaggio i giovani Greci non lasciavano i confini della comunità, ma piuttosto si appartavano con uomini più anziani entro i confini stessi della Polis; questi uomini, come i loro omologhi in precedenza, svolgevano un ruolo educativo e formativo nella vita dei loro giovani compagni. Si poteva amare uomini e donne indistintamente, in quanto i Greci, nell’amore, cercavano il bello indipendentemente dal sesso di chi amavano; pertanto, amare donne o ragazzi era solo una faccia diversa della stessa medaglia. Ma cosa si intende esattamente per “arte omo-erotica”? La tolleranza dei rapporti tra persone dello stesso sesso nella società greca classica non rappresentava di certo un tabù da demonizzare o scacciare. Per questo la rappresentazione visiva di soggetti strettamente connessi all’omo-erotismo è spesso raffigurata senza nessun pudore e senza nessun filtro nella produzione vascolare, ma è impossibile distinguere tra ciò che per loro poteva essere considerato osceno o proibito in quanto gli antichi Greci non conoscevano il moderno concetto di pornografia. La loro arte rifletteva con estrema semplicità scene di vita quotidiana, in maniera più erotica se paragonata ad altre etnie: peni eretti scolpiti che rimandano a un simbolismo fallico possono essere visti in luoghi di culto, come ad esempio il tempio dedicato a Dioniso e situato sull’isola di Delo; mentre un elemento comune di protezione apotropaica era costituito dall’erma, una statua composta da una testa su un plinto quadrato con un grande fallo in evidente stato di erezioneAlcuni regali tradizionalmente forniti agli eromenos diventano simboli che contribuiscono ad interpretare una determinata scena come pederastica, statuette raffiguranti animali, generalmente lepri e galli, ma anche cervi e felini, simboleggiavano in primis il passatempo aristocratico per eccellenza, la caccia, ma al contempo simboleggiavano la ricerca sessuale. Lo sfioramento dei genitali del giovane è una delle immagini più comuni e ricorrenti delle scene di corteggiamento pederastico su vasi, un gesto indicato anche da Aristofane nella commedia intitolata Gli Uccelli. Le persone coinvolte nelle scene non sono mai identificate come “omosessuali”, in quanto la realtà della pederastia era parte integrante del desiderio di ogni uomo adulto di quel tempo. Pittore colto e consapevole delle proprie qualità artistiche, Euphronios, raffigura sé stesso a banchetto nei panni di un raffinato cittadino ateniese, che viene ritratto da Smirkros nell’atto di corteggiare Leagros, uno dei giovani del ginnasio. Un altro tema caro ai pittori dello stile severo è il simposio che consente di giocare sulle analogie tra la raffigurazione e la funzione effettiva del vaso. Nella grande coppa dei Musei Vaticani vengono esaltate le gioie della riunione conviviale: il bere, la musica, la declamazione, la compagnia femminile, il pittore è Douris, autore di moltissimi vasi dal 500 al 460 a.C. circaLa scena offre lo spunto per sperimentare attraverso la gestualità dei conviviali, con una serie di posizioni in movimento e vedute di scorcio. La stessa vivacità caratterizza lo psyktèr del British Museum da Cerveteri, con giochi tra satiri. I compagni di Dioniso si esibiscono in uno scatenato girotondo sapientemente costruito sulla superficie convessa del recipiente, che aveva la funzione di conservare fresco il vino. Tema del gioco è non a caso l’uso del vino, mentre un Kantharos, vaso sacro a Dioniso, passa di mano in mano, i satiri sperimentano a modo loro diversi modi di bere, passando dal virtuosismo del satiro che porta un vaso in equilibrio sul fallo eretto, mentre un compagno gli versa da bere, al satiro che beve a testa in giù senza toccare la coppa. L’ellenizzazione  e la libertà sessuale ad essa connessa influenzò anche la civiltà romana apparentemente più severa e virile, una virilità spesso ostentata da simboli iconografici che descrivevano e incarnavano ben altro. D’altra parte non è un mistero che alcuni imperatori romani ebbero esperienze omo-erotiche: dopo Cesare, soprannominato con ironia “la moglie di tutti i mariti”Augusto fu additato con disprezzo dai detrattori col nome di Ottavia. Varie fonti affermano che il celebre e sanguinario imperatore romano Nerone, abbia celebrato ben due matrimoni pubblici con degli uomini, una volta assumendo il ruolo di moglie con il liberto Pitagora, un’altra volta come marito con lo schiavo adolescente  Sporo che sottopose a castrazione. Alcuni studiosi indicano quella effettuata su Sporo come la prima operazione di cambiamento di sesso storicamente descritta. Le rappresentazioni della sessualità omosessuale sono meno rappresentate nell’arte erotica dell’antica Roma rispetto a quelle che mostrano atti sessuali tra maschio e femmina. Vi sono numerosi dipinti e sculture sessualmente espliciti provenienti dagli edifici romani in rovina di Pompei ed Ercolano. Un fregio di Pompei antica presente alle Terme Suburbane mostra una serie di sedici scene omo-erotiche, oltre una rappresentazioni di sesso di gruppo . D’altra parte, sempre a Pompei falli e testicoli incisi nei marciapiedi, servivano da indicatore per aiutare i visitatori a trovare la strada in direzione del quartiere riservato allo svago dei sensi. Tra i manufatti più particolari e unici nel loro genere inerenti al periodo vi è sicuramente la Coppa Warren una coppa d’argento raffigurante due scene di atti omosessuali in ambiente di simposio, di solito datata al tempo della dinastia giulio-claudia ( secolo d.C.). Si è sostenuto che i due lati di questo calice rappresentino la dualità nella tradizione presente nel  mondo classico dell’istituzione della pederastia greca in contrasto con la forma esistente all’interno della cultura romanaSulla parte della coppa che rappresenta l’ideale greco vediamo un uomo maturo con la barba mentre si unisce in posizione da dietro a un giovane maschio già sviluppato e muscoloso il quale gli sta seduto sopra. L’adolescente si tiene in equilibrio rimanendo attaccato con la mano sinistra a un sostegno, così da mantenere una posizione sessuale altrimenti imbarazzante o scomoda. Uno schiavo bambino osserva la scena di nascosto attraverso una porta socchiusa. Il lato romano della coppa invece mostra un “puer delicatus”, all’incirca di dodici o tredici anni, mentre viene tenuto saldamente stretto tra le braccia di un maschio più anziano, ben rasato e in perfetta forma fisica. Mentre il primo uomo con la barba può essere greco, con un partner che partecipa più liberamente all’incontro, la sua controparte, che ha un taglio di capelli differente, sembra a tutti gli effetti essere romano e quindi utilizza uno schiavo; la corona di mirto che indossa simboleggia inoltre il suo ruolo di conquistatore erotico. La coppa potrebbe essere stata concepita come un ritratto atto a stimolare la conversazione su quel tipo di ideali di amore e di sesso, che avevano luogo durante i banchetti simposiali tradizionali Greci. L’antichità della Coppa Warren è stata però contestata e potrebbe invece rappresentare la percezione dell’omosessualità greco-romana com’era al momento della sua ipotetica fabbricazione, forse a cavallo tra il XIX e il XX secoloAnche se, in generale, i romani consideravano il matrimonio come unione eterosessuale, durante il periodo imperiale si sono verificati episodi in cui coppie maschili hanno celebrato il rito tradizionale del matrimonio romano in presenza di amici; queste forme di matrimonio tra persone dello stesso sesso sono riportati da fonti che ne deridono gli intenti. Infine non va sottovalutato il fatto che nel tardo impero romano fu la condanna cristiana a rendere l’omosessualità un reato, tuttavia la terminologia usata per giustificare la condanna non è cristiana, ma è ripresa dalla filosofia greca e non dalla teologica ebraica. Il concetto di “contro natura”, per esempio, viene da Platone, non dalla BibbiaTuttavia è innegabile che il cristianesimo e la morale giudaica furono alla base delle leggi successivamente adottate dagli imperatori cristiani come Costante, Teodosio I e Giustiniano, proibirono e punirono con la pena capitale il nuovo reato di omosessualità. La morale cristiana infatti, a differenza di quella pagana greco-romana, considerava comunque peccato l’atto omosessuale, al di là del ruolo svolto, contrapponendo, alla visione maschilista tipica della società romana, una visione più ascetica e distaccata in cui il sesso era sempre considerato un peccato e un atto impuro, al di fuori della finalità di unione nella complementarità sessuale e della procreazione. 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